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Il conflitto: una palestra per la comunicazione

Ognuno di noi sperimenta ogni giorno la fatica di attraversare tensioni e si scontra più o meno passivamente con l’idea che non sia possibile evitare litigi. Riuscire a stare nel conflitto richiede allenamento e una buona dose di tolleranza, ma è indubbio che il termine “conflitto” sia stato – soprattutto nella nostra cultura – associato erroneamente a guerra e violenza. A ben vedere, sono proprio le culture rigide, ossia quelle che non danno spazio al conflitto, quelle che più facilmente danno origine alle guerre. Invece di attribuirgli il merito di spazzino che elimina dubbi, paranoie e incomprensioni, abbiamo deciso che il conflitto sia da evitare, probabilmente perché da bambini ci hanno insegnato che litigare fosse sbagliato, dannoso e ingiusto. I conflitti, in realtà, permettono di imparare a conoscersi.

 

Come comportarsi?

Nelle discussioni e negli scontri si scoprono potenzialità e limiti personali e, soprattutto, ci si accorge che il conflitto ha una parte nascosta, cioè quella parte che ha dato origine, indirettamente, alla disputa.

Il primo passo per far emergere quella parte nascosta è cercare di capire quello che sta succedendo. Se ci poniamo verso il prossimo in modo assertivo, ossia con sicurezza, evitando di colpevolizzare l’interlocutore e sospendendo il giudizio, potremo gestire in modo costruttivo la relazione.

La difesa delle nostre argomentazioni non deve creare barriere comunicative come criticare, mettere in dubbio le parole dell’altro o cambiare discorso. Un proverbio africano dice che non ci sono mai due persone che non si capiscono ma due persone che non hanno discusso.

Un errore piuttosto comune è la ricerca della causa del conflitto. Senza togliere importanza alle motivazioni e ai bisogni che hanno condotto allo scontro, diventa maggiormente funzionale concentrarsi sul come e non sul perché. Anche se si riescono ad individuare le origini, il conflitto accade adesso e ci vuole raccontare qualcosa che appartiene al momento stesso in cui si manifesta. Scoprire le cause può giustificarlo ma non lo rende fonte di apprendimento.

Nella sua gestione iniziale, ci è richiesto soprattutto di rallentarlo. Di prenderne le distanze per non far precipitare gli eventi. Di chiedere a chi ci sta di fronte di definire i propri bisogni invece di proporre soluzioni al problema. E’ un passo alquanto difficile perché la maggior parte degli individui resta attaccata al proprio modo di intendere il problema o alla personale soluzione ad esso. Ritengo che mettersi nei panni di chi ci impegna in una discussione sia strettamente collegato con l’autostima. Il sapere di valere è un ottimo antidoto alla paura di affrontare un confronto e un cambio di prospettiva.

Una delle regole d’oro è ricordarsi che da un conflitto chiarito non devono uscire né vinti né vincitori, ma persone appagate di aver trovato un punto di incontro.

 
 
 

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