Quando si entra in contatto con un contesto sportivo bisogna tenere presente che l’allenatore oltre che ad interagire con la società sportiva, si trova inserito in un “Triangolo relazionale” (Nascimbene, 2003) nel quale entrano in relazione tre figure: gli atleti, l’allenatore e i genitori.
L’allenatore è una figura cruciale, è un punto di riferimento, sia per gli atleti che lo vedono come modello di identificazione sul piano agonistico ed umano (spesso come una sorta di sostituto della figura genitoriale, motivo per cui gli atlleti spesso tendono a mitizzare la figura del coach), sia per le famiglie, che lo vedono come punto di riferimento per parlare del figlio e a volte avere più informazioni su di lui. L’allenatore risulta, quindi, essere un mediatore di un’esperienza sportivo – educativa. Tuttavia, per poter meglio comprendere la figura dell’allenatore, è opportuno approfondire il ruolo dei genitori, poiché questi ultimi costituiscono una variabile cruciale, che influenza anche il modo in cui l’allenatore gestisce talune dinamiche in palestra.
Anzitutto, è bene tener sottolineare che ogni genitore vorrebbe stabilire una relazione positiva con i propri figli e che la famiglia è il luogo in cui si sviluppano le prime dinamiche relazionali, tuttavia essere genitore non è semplice, non esistono regole o il manuale del “buon genitore”. La famiglia, è il primo contesto di sviluppo e il ponte verso le prime socializzazioni all’esterno. Le prime relazioni sociali sono fortemente controllate e gestite dai genitori, solo successivamente e con l’inserimento in altri contesti sociali, tra cui le società sportive, la scelta degli amici tende ad essere più legata alle preferenze dei figli. In qualsiasi contesto sociale ed educativo e, in questo specifico caso, nel contesto sportivo è opportuno riconoscere che il ruolo del genitore è cruciale, poiché egli investe il figlio di aspettative riguardo ai suoi successi e insuccessi, che, tuttavia, non sempre risultano realistiche e ciò può provocare tensioni con gli allenatori.
L’allenatore si trova spesso in relazione con differenti tipologie di genitori:
• Genitori sottomessi, disposti a qualsiasi cosa (anche uso di sostanze dopanti) affinchè il figlio riesca nello sport, rischio principale è che il genitore perda rispetto dap arte del figlio;
• Genitori chiocce, iperprotettivi che tendono a sostituirsi al figlio nella risoluzione dei problemi, con il rischio che il figlio non riesca ad affrontare difficoltà semplici in maniera autonoma;
• Genitori proiettivi, che proiettano i propri desideri di successo sui figli, i quali divengono il mezzo per sublimare le proprie mancanze;
• Genitori ipercritici, che esprimono lodi e giudizi, talvolta irrealistici, sul figlio ed allo stesso tempo si mostrano estremamente critici e giudicanti nei confronti della prestazione scadente di quest’ultimo;
• Genitori disturbatori, che tendono a sedersi accanto alla panchina, parlano ad alta voce o urlano diventando fonte di disturbo;
• Genitori allenatori, che siedono in panchina accanto all’allenatore e che danno suggerimenti in contrasto con quelli di quest’ultimo;
• Genitori disinteressati, che non partecipano alla vita sportiva del figlio e non sono presenti, bensì usano la palestra o il campo sportivo come luogo protetto e sicuro dove lasciare il proprio figlio quando loro non ci sono.
Cosa deve fare allora l’allenatore? In primo luogo, dovrebbe cercare di evitare di ricreare alcune dinamiche:
1. Alleanza allenatore–genitori, a discapito del ragazzo, poiché, soprattutto nel caso in cui abbia a che fare con adolescenti, perderebbe la loro stima e la loro fiducia;
2. Alleanza atleta–allenatore contro i genitori, poichè contrastare costantemente la famiglia, comporta il rischio che i genitori portino via il ragazzo o facciano andare via l’allenatore la stagione successiva.
L’allenatore è al centro della comunicazione sia con gli atleti che con i genitori, pertanto risulta essere una sorta di mediatore tra le diverse figure, utilizzando modalità comunicative differenti a seconda dell’interlocutore. Affinché ci sia una buona relazione sono indispensabili:
- Fiducia reciproca;
- Valorizzazione il proprio ruolo;
- Collaborazione con la famiglia;
- Assenza di critiche da entrambi i ruoli;
- Essere un punto di riferimento.
L’allenatore e la famiglia dovrebbero, quindi, cercare di collaborare in maniera coordinata: il coach dovrebbe far sentire all’atleta che è in sintonia con la famiglia e collaborare insieme ad essa per la crescita sportiva ed umana del ragazzo.
L’allenatore deve impegnarsi e fare capire ai genitori il significato ed il valore dell’attività sportiva per il loro ragazzo. Far comprendere che l’impegno nello sport non deve essere esclusivamente finalizzato alla crescita di un campione, ma è una pratica finalizzata alla crescita del ragazzo come PERSONA. Ci sarà qualcuno che diventerà campione, ma non sarà così per tutti.
È fondamentale che le due figure di riferimento, in momenti diversi e secondo le specificità del proprio ruolo, affianchino il ragazzo anche nel riconoscimento e nell’accettazione dei propri punti di forza e punti di debolezza. Pertanto, così come l’allenatore non dovrebbe interferire con la famiglia nel suo ambito specifico, così la famiglia non dovrebbe interferire sull’attività dell’allenatore nel suo ambito specifico.