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Mio figlio e il suo autismo: intervista ad una mamma

Riporto l’intervista di A., una mamma dolcissima che ha accettato di rispondere a qualche domanda per sensibilizzare sul tema dell’autismo. Qui ci parla di suo figlio E., che proprio oggi, 27 Maggio 2015, compie 5 anni!

 

Quali sono stati i primi segnali, che hanno portato poi alla diagnosi?

Ad otto mesi ricoverammo E. per una broncopolmonite. Notando gli altri rapporti tra madre e figli iniziai a sentire un senso di inadeguatezza: non riuscivo ad entrare in contatto con  il mio bimbo! Il linguaggio a sedici mesi era ancora assente e parlando con il pediatra, mi diceva di stare tranquilla, che il bambino non aveva nessun problema! Dopo due mesi vedendo che il bimbo non veniva attratto da nessun gioco, non indicava, non interagiva, iniziai a navigare su internet: il mio bimbo rientrava nello spettro autistico!

A 22 mesi lo portai da una neuropsichiatra infantile, perché il pediatra si rifiutava, dicendomi che era troppo piccolo e che dovevo stare tranquilla.. Questa neuropsichiatra mi disse che stavamo in una situazione a cavallo tra lo spettro autistico e la normalità, di iniziare subito un inserimento all’asilo, insieme ad interventi di psicomotricità e logopedia.

Qual è stata la vostra reazione a questa comunicazione?

Tornando a casa ricordo che scoppiai a piangere, iniziarono le prime difficoltà con mio marito che non voleva iniziare questi interventi e non mi capiva. Il nostro rapporto si chiuse sempre più..e io mi sfogavo di continuo con la mia famiglia.

Andai da un altra neuropsichiatra infantile che mi disse che probabilmente il bimbo aveva avuto un trauma dell’abbandono dato che io lavoravo a tempo pieno e lo lasciavo da mio padre e mia sorella (che o lasciavano nel seggiolone a guardare le pubblicità, che tanto gli piacevano).

Dopo circa una settimana ricaddi negli attacchi di panico, per un anno sono stati i miei fratelli ad accompagnarmi al lavoro..

La nostra vita, prima dell’incontro con l’autismo, era piena ed appagante su ogni lato: lavorativo e familiare. Dopo la diagnosi forse ci chiudemmo anche noi nell’autismo: mio marito il tempo libero lo trascorreva con gli amici, io restavo sola a casa con il bimbo. Lavoravo, mi occupavo della casa e degli aspetti organizzativi della famiglia. Era evidente la non accettazione di mio marito, si rivolgeva a lui definendolo “problema”, si innervosiva tanto delle sue stereotipie emozionali, mentre io ero felice perché sapevo che in  quel momento il mio piccolo era felice.

Quali sono stati i passi successivi?

Poco dopo la diagnosi ha iniziato la riabilitazione in un Centro, Il piccolo aveva una brava logopedista e vedemmo un netto miglioramento della situazione già dal primo mese. Purtroppo questa logopedista entrò in maternità e per l’anno successivo non ci furono grandi miglioramenti.

Andai da un terzo neuropsichiatra che trattava solo autismo e dopo tre giorni  di visita al bimbo, ci disse che il bimbo non era autistico… Ci comunicò che rientrava nelle altissime sfumature del l’autismo e che con una buona terapia si sarebbe messo alla pari con gli altri bimbi. Questa terapia ci costò quasi 700 euro al mese, mio marito si licenziò perché troppo stressato, promettendomi di aprire una propria attività..cosa che non è mai avvenuta, ed è tutt’ora senza lavoro.

Dopo un mese di terapia ABA, iniziata quando aveva 3 anni, E. iniziò a dire le prime paroline, una gioia infinita! La mia mente viaggiava con le parole del neuropsichiatra infantile e questa speranza mi spingeva  a cercare ogni mezzo possibile per capire come far uscire il mio bimbo da questa bolla.

Quali sono i sintomi attuali di suo figlio?

I sintomi più evidenti ora sono i saltelli, il battere le mani, varie stereotipie del volto.. Ma notiamo che sono prettamente emozionali, li mette in atto quando vuole esprimere un’emozione. Non ha nessun tipo di stereotipia nei momenti di vuoto.

E. allontana i bambini della sua età, mentre con quelli più grandi e con noi adulti ha una buona interazione. Adora il gioco corporeo, il solletico e il cavalluccio…

Dal punto di vista scolastico, E. rispetta le regole e risulta scolarizzato, ma non ha interazione sociale con gli amichetti! E la maestra di sostegno non ne vuole sapere di fare l’ABA a scuola. Due mesi fa proposi alla terapista di far venire un amichetto di E. a casa e farlo entrare con lui in terapia, ed entrai anche io: vidi che questo bimbo era sbalordito nel vedere E. giocare e parlare. Vedevo la sua faccina stupita e non smetteva più di applaudirlo! La mia speranza è incentrata prettamente sulla scuola: se si adottasse l’ABA anche lì sono certa che E. spiccherebbe il volo. Sarebbe sufficiente che ogni giorno lo si facesse lavorare in affiancamento ad altri due bambini. A casa abbiamo visto che E. in una situazione del genere rispetta il turno e mette in atto uno scambio nel gioco!

Che tipo di terapia sta seguendo?

Sta seguendo ancora la terapia ABA con ottimi risultati rispetto alla psicomotricità e logopedia. L’ABA nel primo mese è stata, in realtà, una conoscenza tra il bimbo e la terapista. Lei ha iniziato a vedere cosa gli piacesse di più. E più il rinforzo è gratificante più il bimbo collabora. Il bello dell’ABA è che molte volte entro in cameretta e attingo molto anch’io, informazioni utili poi da mettere in atto tutta la giornata.

A casa noi praticamente attuiamo l’ABA sempre. Quando vuole qualcosa non gliela diamo finché non la chiede e dopo un anno e mezzo di terapia finalmente le richieste sono spontanee!

Come vede il futuro di E.?

La mia speranza è, ovviamente, sempre quella che possa raggiungere quasi la normalità. Ho questa speranza anche perché molti neuropsichiatri mi hanno detto che si sarebbe messo alla pari con gli altri bimbi, dato che rientrava solo nelle altissime sfumature dell’autismo.

C’è qualcosa che vuole dire a chi condivide una situazione simile alla sua?

Alle altre mamme voglio dire solo di non sentirsi inadeguate: l’autismo reca con sé un senso di inadeguatezza da parte dei genitori. Posso dire per esperienza personale che il lavoro più grande bisogna farlo a casa. Voglio dire di non diventare una “famiglia autistica” chiudendosi in casa, perché fuori sembrano ingestibili: più li si fa stare fuori casa meglio è per loro. Ci vuole pazienza..tanta pazienza.

E vivere l’autismo percependo tutto l’amore puro e incondizionato che solo questi bambini speciali ci sanno regalare!

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