L’amore, nelle sue diverse forme e manifestazioni, rappresenta un bisogno di fondamentale importanza per l’essere umano. In alcuni casi, tuttavia, esso assume delle forme che non sono più fonte di benessere per chi le vive e possono divenire addirittura patologiche. E’ il caso della DIPENDENZA AFFETTIVA, ossia un quadro patologico in cui rapporto di coppia viene vissuto e rappresentato quale condizione unica e necessaria per la propria esistenza.
Le persone che vivono questa forma di dipendenza attribuiscono alla persona amata un’importanza tale da annullare se stesse, non ascoltando i propri bisogni e le proprie necessità, poiché le esigenze dell’Altro vengono considerate prioritarie, pur di evitare un possibile conflitto o rottura della relazione. Il terrore dell’abbandono e della separazione è, infatti, uno dei sentimenti prioritari, che porta la persona a muoversi sempre come se “camminasse sulle uova”, per cui, prima di mettere in atto qualsiasi comportamento, vengono attentamente valutate le possibili reazioni dell’Altro, entrando in uno stato di panico al minimo segnale di contrarietà, a cui conseguono rabbia (spesso rivolta verso se stessi, ma in taluni casi anche nei confronti del partner “poco riconoscente”, ssebbene non venga apertamente espressa) e senso di colpa (“Che stupida/o sono stata/o, so che a lui non piacciono questi comportamenti/situazioni/abbiglimento…”).
In genere, si ha una devozione estrema nei confronti del partner, il quale viene profondamente idealizzato e con cui si vorrebbe avere un rapporto di completa fusione e simbiosi. Per questo motivo, è molto raro che il partner venga riconosciuto realmente per come è e per come si comporta (spesso da egoista, manipolatore, poco amorevole e affettuoso…), bensì egli viene percepito come un essere speciale, che “se solo si lasciasse amare, se solo si lasciasse aiutare diventerebbe davvero quell’uomo ideale che si è intravisto dietro al comportamento apparentemente menefreghista“, insomma “se solo non avesse (o avesse avuto in passato) i suoi problemi, sarebbe davvero in grado o, più semplicemente, libero di dare amore“.
Ad alimentare la dipendenza e la difficoltà a valutare la realtà della relazione, s’aggiunge la tendenza della persona a giustificare i comportamenti del partner, sminuendo il proprio valore e attribuendo a sé buona parte delle colpe (“E’ così, ma io del resto…“, “Se fossi meno gelosa/o, forse lui…“, “Se è arrivato a dirmi quelle cose e ad offendermi è perché io ho tirato troppo la corda, sono io ad aver iniziato…“).
Si entra così in una sorta di circolo vizioso, in cui più si ha paura di perdere l’Altro, più la dipendenza diventa marcata, amplificando anche la messa in atto di comportamento volti a mantenere la stretta vicinanza del partner; tuttavia, in genere, tali dinamiche affettive si innescano tra una persona dipendente e una persona evitante, che in quanto tale reagisce con la chiusura o addirittura con la fuga dinanzi ai segnali di vicinanza, da lui giudicata in ogni caso eccessiva. A questo punto, la persona dipendente “stringe” ancora più la presa e così via, perché la dipendenza affettiva sembra nutrirsi del rifiuto, della svlutazioe e del dolore, non perché si provi piacere in essi, quanto perché si cerca di convincere l’Altro del proprio valore (valore in cui non ci si riconosce, ma che necessita di un riconoscimento esterno), sperando di cambiarlo, di salvarlo dalle ferite del suo passato.
COSA FARE?
Il primo passo per la risoluzione del problema della dipendeza affettiva è quello di prenderne consapevolezza, ammettendo che si tratti di un problema, cosa molto difficile perché queste dinamiche affondano le radici in modelli d’amore, in genere strutturatisi nel corso dei primi anni dello sviluppo, e che la persona conserva inconsapevolmente in memoria, valutando pertanto tali dinamiche di coppia come “normali”.
Spesso, la speranza nel cambiamento avviene quando cadono le illusioni che hanno nutrito il rapporto e quando si sperimenta la disperazione.
A questo punto, può essere molto utile un percorso individuale. Perchè individuale e non di coppia? Perché spesso la dipendenza affettiva deriva dalla propria storia personale ed è importante elaborarne gli aspetti salienti, al fine di modificare i modelli affettivi disfunzionali, che potrebbero “attivarsi” anche in eventuali relazioni future.
Utile può essere anche la terapia di gruppo, tra persone che vivono lo stesso problema, perché ogni partecipante “funge da specchio” per gli altri, favorendo il riconoscimento delle distorsioni della realtà e favorendo il cambiamento.
LA DIPENDENZA AFFETTIVA “E’ FEMMINA”?
Nel rispondere a questa domanda, ci viene in aiuto un significativo epidemiologico: l’alta incidenza del problema all’interno del genere femminile, tanto che si stima che il fenomeno sia diffuso al 99% proprio in questa fetta della popolazione (Miller, 1994).
Perchè?
Probabilmente, il motivo per cui la dipendenza affettiva si manifesta più frequentemente nelle donne si spiega con l’esistenza di un diverso funzionamento psichico nei due sessi. Nello specifico, gli uomini tendono ad allontanare dalla mente il dolore delle carenze/trascuratezze/violenze subite, attraverso un’identificazione con l’agente di tali mancanze o aggressioni; al contrario, le donne tendono a riproporre le dinamiche di tali carenze/violenze, nel tentativo di controllarle (Miller, 1994).
SUGGERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Poiché, l’obiettivo dell’articolo è quello di fornire alcuni cenni preliminari circa la dipendenza affettiva, vi invitiamo a scriverci nel caso fosse per voi utile approfondire il tema.
Vi lasciamo, comunque, alcuni spunti bibliografici:
– MIller D. (1994), Donne che si fanno male, Feltrinelli
– Norwood,R. (2003), Donne che amano troppo, Feltrinelli