Nella prima parte dell’articolo ho affrontato l’argomento in relazione alle difficoltà informative e comunicative che spesso accompagnano la nascita di un figlio disabile. Adesso vorrei soffermarmi sulla famiglia.
Essere genitore di un figlio disabile non è un ruolo che una persona sceglie. Nessuno chiede di esserlo né c’è chi è preparato ad una responsabilità cosi impegnativa.
Diversi autori hanno individuato delle linee guida per analizzare quali fasi vengono attraversate da una famiglia con un figlio disabile.
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Shock iniziale: in questa fase predominano incredulità, dolore per il bambino e per se stessi, senso di impotenza. Il pensiero è ossessivamente fisso su ciò che è successo.
Cosa fare per attenuare il più possibile questi effetti?
E’ importante reperire tutte le informazioni necessarie a fare un quadro, il più chiaro possibile, della situazione. Ciò necessita di tempo, di lunghe indagini, è quindi necessaria la vicinanza della famiglia e il supporto reciproco fra i coniugi.
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Rifiuto: tendenza a rifiutare la realtà che porta i genitori ad un susseguirsi di consulenze mediche e specialistiche con lo scopo di provare che “C’è stato un errore!”. Naturalmente si viene a creare una situazione stressante sia per i genitori che per il figlio.
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Senso di colpa e rabbia: la negazione è seguita dalla rabbia, verso se stessi, verso il coniuge, verso i medici. Alcuni genitori reagiscono al senso di colpa con la completa dedizione al figlio, ciò li porta a trascurare gli altri membri della famiglia e talvolta ad interrompere la relazione con il coniuge.
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Vergogna: spesso i genitori tendono ad identificarsi con i propri figli di conseguenza un difetto nel bambino può essere interpretato come una loro mancanza.
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Contrattazione: è la prima fase produttiva di questo processo. Il genitore si avvicina a poco a poco alla disabilità del figlio, inizia a conoscerlo più a fondo come persona e non come disabile.
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Accettazione e adattamento: è una fase attiva e continua, si compie la volontà di riconoscere, capire e risolvere la problematiche presenti e future.
I membri della famiglia non hanno lo stesso atteggiamento nei confronti della situazione in cui si trovano perché non hanno nello stesso momento uguali bisogni e disponibilità. Analizziamoli brevemente uno ad uno.
La madre
La madre sperimenta spesso quel sentimento definito “maternità ferita”, per la donna infatti la gravidanza è un investimento sul futuro del proprio figlio e sulla propria figura di donna e madre. Fin dall’inizio solitamente mostra maggiori insicurezze e ansie.
Confrontarsi con altre mamme di bambini disabili può rivelarsi una fonte di sostegno emotivo, un momento di condivisione di esperienze che permettono di acquisire maggiore consapevolezza.
Il padre
Pur riconoscendo l’importanza dei sentimenti del padre, la tendenza è spesso quella di delegare la responsabilità delle cure e dell’accudimento del figlio alla moglie. In alcuni casi è la moglie stessa che tende ad escludere il marito dal rapporto simbiotico che ha creato con il figlio. Il marito è colpito dallo stesso senso di impotenza e di sofferenza ma non sa coma far fronte a ciò, non sa come aiutare la moglie perché anche lui avrebbe bisogno di aiuto.
I fratelli
La reazione dei fratelli dipende da vari fattori: il numero di figli, la differenza di età tra loro, il tipo di interazioni familiari, la gravità dell’handicap.
Si possono verificare varie situazioni: i fratelli sono coinvolti più dei loro coetanei nelle faccende di casa e nelle attività di cura, possono sentirsi obbligati a “compensare” il fratello o la sorella, sono più responsabilizzati.
E’ importante che i genitori spieghino i problemi del fratello o sorella agli altri figli per evitare loro ansie e incertezze e costruire così un rapporto sano e costruttivo.
Se consideriamo la famiglia come un sistema interdipendente i cui bisogni e obiettivi comuni trovano risposta nell‘interazione dei comportamenti dei singoli, allora i problemi legati all’handicap devono necessariamente essere trattati come problemi che coinvolgono l’intero nucleo familiare.
“L’handicap non è affatto qualcosa di immutabile nel tempo e imprescindibile da noi, ma, al contrario, lavorare per ridurre lo svantaggio è possibile.”
La disabilità è un concetto che va collegato al contesto di vita, maggiore è la capacità del contesto familiare e sociale di rispondere ai bisogni differenziati dei soggetti, minore sarà la loro disabilità.
La famiglia va considerata come la prima risorsa per la persona disabile e in quanto tale va aiutata a incrementare le proprie potenzialità, a sviluppare la resilienza, quale capacità di rispondere ai propri problemi con strategie flessibili e ricerche di aiuto e a porsi come soggetto in relazione e collaborazione con servizi, strutture e comunità.