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Non sono pazza: ho l’ansia!

Ho chiesto a S., 36 anni, di parlare della sua storia e del percorso che la sta riportando alla serenità dopo un periodo difficile.

Riporto integralmente quanto ha gentilmente voluto condividere con noi, ringraziandola pubblicamente per la profondità delle sue parole e per la sensibilità che ha sempre dimostrato.

D: Quando si è accorta di avere un problema?
R: Mi sono accorta di avere un problema 8 anni fa circa mentre stavo chiudendo una relazione molto importante ma anche fin troppo problematica: un giorno, all’improvviso, nel percorrere in macchina un tratto di strada (un viadotto), ho iniziato a sentire un forte senso di smarrimento, sudore freddo e aumento dei battiti cardiaci. All’epoca facevo una vita molto frenetica: lavoravo molto; uscivo diverse sere a settimana, facevo molto tardi; inoltre, per mantenermi in forma, mi chiudevo in palestra per tre ore al giorno almeno quattro volte alla settimana. Ho fatto questa vita per diversi anni e la trovavo molto soddisfacente. Negli anni successivi, purtroppo, si sono verificati in sequenza alcuni avvenimenti negativi (come la malattia di una persona cara, il fallimento dell’azienda per cui lavoravo) e stressanti (come il nuovo gruppo di lavoro, aver cambiato casa due volte) che mi hanno obbligata, in qualche modo, a cambiare stile di vita e dai quali mi sono lasciata sopraffare: ad un certo punto, infatti, non sopportando più il dolore, la rabbia e lo stress, ho iniziato una ricerca disperata di tranquillità che mi ha portato prima ad evitare e poi, ad un certo punto, non provare più alcuna emozione. Per diversi mesi, mi sono sentita l’anima paralizzata. Un bel giorno, mentre ero in ufficio, le emozioni si sono risvegliate tutte insieme per esplodere in un attacco di panico!

D: Che cosa ha pensato di sé e di ciò che le stava capitando? Ha dato un nome al suo disagio?
R: Inizialmente, ho attribuito il disagio alle vertigini di cui soffro sin da piccola e l’ho trovata una cosa normale. Ho pensato che smettendo di sottopormi a quello specifico stress (percorrere i viadotti) per un po’ di tempo, tutto sarebbe passato facilmente e senza conseguenze, quindi, ho iniziato gradualmente ad evitare i viadotti, uno in particolare, e a percorrere delle strade “alternative”. Tutto sommato, non ho attribuito al problema un grande peso anche perché era estremamente circoscritto e non mi impediva di spostarmi in macchina in autonomia e, anche se mi obbligava ad allungare i tragitti o stare più tempo nel traffico, per me non era un problema anzi era un momento quasi di svago in cui chiamare le amiche o ascoltare musica. Successivamente, il disagio si è aggravato ed ho iniziato a sentirmi confusa e a non capire cosa stesse succedendo: dapprima mi sono sentita in imbarazzo, poi in colpa, poi ho iniziato a pensare di essere diventata pazza e, benché non abbia mai avuto reazioni alterate in nessuna occasione, pericolosa per me e per gli altri. Inoltre, man mano che il problema diventava sempre più acuto, ho iniziato a sentirmi sempre meno indipendente, io che avevo fatto della mia indipendenza e libertà le mie ragioni di vita! Non solo, ho iniziato ad identificarmi sempre di più con il mio disagio: spesso, infatti, sostenevo di sentirmi un 80% ansia e un 20% persona, sentivo solo dolore, impotenza, inadeguatezza e non mi sentivo più all’altezza della persona che ero sempre stata. Mi ero convinta che tutto fosse diventato impossibile per me! A questo, si è aggiunta la paura di un futuro terribile pieno di catastrofi, quindi, se il mio presente faceva schifo, il futuro sarebbe stato anche peggio.

D: In cosa si è modificata la sua vita? Come sono cambiate le sue abitudini?
R: Purtroppo, nel corso del tempo, il disagio è aumentato: ho iniziato a porre delle condizioni al verificarsi delle quali potevo o non potevo percorrere un tratto di strada (ad es. potevo percorrere solo percorsi cittadini e mai autostrade o strade a scorrimento veloce oppure potevo percorrere una certa strada solo se c’era almeno un po’ di traffico, perché provavo fastidio se le altre macchine mi sfrecciavano accanto) riducendo via via le strade per me alternative e rendendomi prima fastidioso, poi difficile e, infine, impossibile guidare. Negli ultimi anni, poi, ho iniziato a soffrire dello stesso identico disagio anche se non ero io a guidare. La soluzione, anche in questo caso, è stata evitare: niente autostrade, niente viaggi lunghi in macchina, niente vacanze in posti da raggiungere in macchina. Parallelamente, sono insorti due nuovi disturbi: la paura dell’altezza in generale, la paura che potesse accadere qualcosa di terribile a me o ai miei cari (malattie gravi, incidenti, rapimenti..). Ho iniziato prima ad a ver paura ad uscire sui terrazzi/balconi dei piani alti, poi anche dei piani più bassi e, nella fase più acuta, avevo paura di stare in ufficio perché si trovava al terzo piano, di stare a casa dei miei o di mia mia sorella per lo stesso motivo, di salire e scendere le scale, di prendere le scale mobili, di passeggiare nei centri commerciali, nei quartieri dove c’erano dei ponti, per le strade dei paesini di collina/montagna anche dove non c’erano viste panoramiche, dovevo controllare più volte il meteo durante la giornata perché, avendo paura della pioggia o del troppo caldo, mi sentivo condizionata dalle condizioni atmosferiche… Non solo: con il tempo ho sviluppato anche la falsa convinzione di non essere più in grado di fare nulla da sola, dalle cose “grandi” come spostarmi in macchina alle cose “piccole” come alzarmi dalla mia scrivania per andare in bagno. Pian piano, non potevo più fare nulla di quello che facevo prima e l’unico posto sicuro, per me, era il mio appartamento al primo piano.

D: Sono cambiati i rapporti con altre persone? Come hanno visto la sua difficoltà?
R: All’inizio, nessuno, a parte il mio compagno, si è accorto del problema.
Siccome fingevo che andasse tutto bene o cercavo delle scuse plausibili per non fare le cose che mi mettevano ansia, le persone che mi conoscevano già riconducevano quei comportamenti strani al mio carattere (sono sempre stata un po’ mattacchiona, insofferente, egoista, e, a volte, un po’ egocentrica) e nulla è cambiato, mentre, le persone che mi avevano appena conosciuta (nuovi amici o nuovi colleghi ad esempio), mi consideravano un po’ strana, fredda, distaccata, diffidente e, a volte, un po’ scorbutica.
Quando mi sono lasciata sopraffare dal mio disagio e non mi sono più sentita abbastanza forte per fingere che andasse tutto bene, le cose sono diversamente: tra me e le conoscenze/amicizie di vecchia data, si è creata una certa distanza (un po’ per una mia inconscia volontà, perché non mi sentivo più all’altezza della persona che ero sempre stata, un po’ per la loro decisione di prendere le distanze dai miei problemi, perché probabilmente neanche loro li avevano capiti), mentre, le conoscenze/amicizie più recenti e specialmente i mie colleghi ed il mio capo mi si sono strette attorno mostrandomi una comprensione, solidarietà, umanità, disponibilità e protezione inaspettate (probabilmente, hanno guardato oltre e visto ed apprezzato il mio lato umano).
Un capitolo a parte, sono stati il mio compagno, che ha vissuto tutto con me sin dall’inizio e a cui mi sono aggrappata tantissimo, e la mia famiglia: entrambi, non mi hanno mai fatto mancare il loro sostegno e la loro protezione e mi hanno sempre ascoltata e spronata.

D: Quando ha sentito la necessità di chiedere un aiuto esterno?
R: Qualche mese dopo l’attacco di panico in ufficio, ho iniziato a temere di essere diventata pazza: l’ansia aveva iniziato a darmi manifestazioni fisiche che mi impedivano di condurre una vita normale ed ero confusa, infelice, disperata e ogni giorno, su Internet, cercavo una spiegazione del mio disagio ed una possibile soluzione ma senza arrivare concretamente da nessuna parte. Inoltre, io mi sentivo comunque sola nel mio dolore perché pensavo che nessuno potesse realmente capirmi e aiutarmi a superare il mio disagio. Ho capito che era arrivato il momento di rivolgermi ad una persona competente. Un amico del mio compagno, che aveva sofferto d’ansia in passato, mi aveva consigliato la Terapia Cognitivo Comportamentale perché lui aveva ottenuto ottimi e duraturi risultati e così mi sono mossa in quella direzione.
Già dal primo contatto, ho sentito di aver preso la decisione giusta.
Prima di tutto, mi sono state fornite spiegazioni chiare su cosa avevo: come molte persone, soffrivo di ansia ed ero in una fase piuttosto acuta. Inoltre, mi sono stati spiegati i meccanismi legati al disturbo dell’ansia e il percorso che avrei dovuto intraprendere per gestirla e, dove possibile, superarla. Il mio disagio aveva finalmente un nome ed io non stavo diventando pazza e, buona notizia, potevo uscirne in un tempo relativamente breve! Da quel momento, non mi sono più sentita da sola ed ho intravisto una speranza di via d’uscita.

D: Quali risultati ha ottenuto con l’aiuto dello psicologo?
R: Sono seguita da una psicologa e, senza l’uso di farmaci, ho già ottenuto ottimi risultati. Seduta dopo seduta, mi sono stati insegnati dei validi strumenti per affrontare e gestire l’ansia e, grazie ad essi e al mio impegno, ho iniziato a ridimensionare il mio problema, ho migliorato la qualità della mia vita in generale, riacquistato fiducia in me stessa e nel mio autocontrollo e la mia indipendenza in molti ambiti perché ho superato già molte delle mie paure (ad esempio, ho ricominciato ad uscire, a frequentare gli amici, a guidare e a fare molte altre cose da sola e non ho più paura di andare a lavoro). Ho ricominciato a vedermi in maniera positiva e sono felice: adesso non mi identifico più con il mio problema e, finalmente, mi sento 80% io e solo 20% ansia (e anche quel 20% è destinato a diminuire)! Di conseguenza, ho smesso di rimpiangere il passato ed ho ricominciato a fare progetti e a proiettarmi con un certo ottimismo nel futuro. Inoltre, ho migliorato il mio rapporto con me stessa e con gli altri: ho imparato ad essere meno diffidente, ad accettare me stessa come sono adesso smettendo di misurarmi con quella che ero in passato e a non colpevolizzarmi quando fallisco in qualcosa.
Non nascondo che il percorso, qualche volta, è stato doloroso e faticoso e che qualche caduta c’è stata ma mi sono rialzata e sono ripartita più forte di prima.

D: Quali consigli vuole dare a chi si rende conto di avere un problema simile al suo?
R: Consiglierei, prima di tutto, di non vergognarsene e di parlarne con famiglia ed amici. Inoltre, consiglierei di non limitarsi a cercare soluzioni “fai da te” o miracolose su Internet (in giro c’è anche gente pericolosa o avida) o sui libri ma di rivolgersi, invece, ad uno psicologo o, almeno, ad un medico. Quando il problema è acuto, come accaduto a me, è importante poter contare su un operatore esperto in grado di fornire tutte le informazioni, gli strumenti ed il supporto necessari per affrontarlo. L’ultimo consiglio che vorrei dare è di non auto-prescriversi farmaci di nessun tipo, compresi i rimedi cosiddetti “naturali”.

D: Se potesse tornare indietro nel tempo, cambierebbe qualcosa?
R:
Premetto che, grazie alla terapia con la psicologa, ho imparato ad accettare il passato ed ho smesso di desiderare disperatamente di poter tornare indietro e cambiare le cose che sono già accadute. In ogni caso, se proprio potessi farlo, farei due cose: per prima cosa, adotterei uno stile di vita non dico diverso ma almeno un po’ meno frenetico; dopo di che, tornerei indietro fino al primissimo atteggiamento di evitamento e mi spronerei a provare ogni giorno a sopportare quei pochi secondi di paura perché, probabilmente, se allora avessi insistito non dico che non avrei mai sofferto d’ansia ma sicuramente non avrei adottato l’evitamento sistematico come reazione ad ogni situazione difficile.

D: Una domanda che fanno molti, e che le giro: in base alla sua esperienza, è possibile liberarsi dell’ansia?
R: L’ansia, è la nostra risposta fisiologica al pericolo, quindi, liberarsene completamente sarebbe impossibile o, se anche fosse possibile, sarebbe comunque dannoso per la sopravvivenza.
In un certo senso, poi, io sono “grata” che questo meccanismo sia scattato nella mia mente perché stavo scivolando nella depressione.
Quello di cui ci si può liberare, per alcune cose, e riuscire a gestire, per altre, è la paura di provare ansia e di sentirsi sopraffatti da essa ed è questo quello su cui sto lavorando: è un percorso doloroso e faticoso ma ne vale la pena.

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